VILLAFRANCA MONTES DE
OCA-BURGOS
19/07/2002
Il deserto.
Bisogna togliere dalla testa delle persone che il deserto sia quello stereotipato con sabbia, dune, palme e cammelli. Il deserto è intorno a noi in ogni situazione in cui ci si senta fuori dalla realtà, lontano dagli altri. Forse sarebbe giusto dire che il deserto è dentro ognuno di noi, che è uno stato mentale, pronto ad approfittare, in un crudele "processo di desertificazione", delle nostre debolezze e dei nostri momenti di difficoltà. E' toccato a noi oggi, nel calore della zona tra Olmo de Atapuerca e Burgos. Non tanto per il fatto di essere sotto un sole cocente, senza case e fonti di acqua intorno, ma per il fatto di sentirsi a disagio, in difficoltà, soli ed abbandonati a noi stessi. E come la causa, ci si accorge che la soluzione è dentro ciascuno di noi: non la si trova in parole, gente e tanto meno in droghe o palliativi: la soluzione è dentro ciascuno di noi e stà ad ognuno tirarla fuori. Quando non si vede una soluzione ad un problema, lo spirito di sopravvivenza deve mettere in moto la propria forza di volontà. Saranno il tuo orgoglio, il pensiero delle persone amate e tutto quanto forma il proprio io a darti la soluzione e ad abbassare le spie dei propri livelli. E la consapevolezza di questo non è da superuomo, ma anzi ti conferma di essere uno dei tanti. Ed in questi casi, come nei veri momenti di difficoltà, ci si accorge che se sulla sabbia ci sono solo due impronte di piedi, e non più quattro, non è perché Dio ci ha abbandonati ma perché ci ha preso in collo.
La giornata è cominciata nel freddo di Villafranca. Sarà stato il dormire in tenda, l'altitudine, l'ora presta, ma senza pile non ce la faccio a muovermi. La vescica curata ieri fa ancora male, ma non ci si può fermare: Ultreya! Lasciamo il campo dei nostri gentili volontari con una ripida salita sulla destra della chiesa. La strada sale prima tra arbusti poi tra querce e pini, in maniera estremamente rapida, stretta e sconnessa fino al valico della Pedraja a 1150 metri, dove un monumento con una colomba ricorda i morti della guerra civile. Da qui la strada allarga e dopo un iniziale sali e scendi si stabilizza in quota tra ampi boschi di pini. Se non fosse per i nugoli di moscerini ce ci assalgono impedendoci la vista, camminare, ora che è anche un po' meno freddo sarebbe piacevole. Dopo 13 chilometri, senza case ne acqua, la strada scende a picco sulla chiesa di San Juan de Ortega, che pur in restauro mostra la propria bellezza. Peccato che ci arriviamo di mattina: esiste infatti la tradizione che il sacerdote, dopo la messa, offra a tutti i pellegrini una buonissima e fumante zuppa d'aglio che avremmo voluto provare. Anche qui, comunque, c'è poco e niente e dopo una visita ed una preghiera ripartiamo per Atapuerca. Per ora ci ha fatto silenziosa compagnia un gruppo di quattro ragazzi spagnoli, che dopo poco si staccano. Il caldo cresce decisamente, anche perche la strada, a questo punto, è più bassa. Dopo qualche chilometro di asfalto giungiamo ad Atapuerca, sito archeologico assaltato dai turisti (non consigliabile, all'interno del cui museo si stà studiando un antichissimo uomo ritrovato in Sudan e che sconvolgerebbe le teorie dell'evoluzione della specie umana. Atapuerca, a parte il museo, ed un triste albergo del pellegrino, due ristoranti ed un bar dove acquistiamo due bocadillos carissimi, non offre niente altro. All'uscita del paese, sulla sinistra, la strada sale lungo un arrugginito filo spinato. Al culmine della salita ci si trova in un grande portone, dominato da una croce ai cui piedi si accumulano sassi. Dalla fine del pratone vedi la grande spianata al termine della quale Burgos mostra la sua grandezza. Ti sembra di esserci. Sotto un sole ora veramente cocente, inizia il nostro deserto: non case, non fonti e, dopo un po', complici dei lavori, non più segni. Anche se la direzione in linea d'aria è inequivocabile, ci sentiamo abbandonati. Traversiamo campi di grano, fossi, una ferrovia per arrivare, intorno alle 14, ad un paesino che, scopriremo dopo, essere Villafria. Sotto gli occhi di alcuni bambini ci gettiamo sulla fonte accanto alla chiesa. Va già meglio: non ci sono ancora i segni ma intanto siamo in un'oasi e non è poco. Dopo agiato ritroviamo anche le frecce gialle. Sotto il sole la periferia di Burgos sembra non finire mai. Fabbriche e capannoni si susseguono senza soluzione di continuità. Il termometro segna 38° all'ombra. Peccato che di ombra proprio non ce ne sia. Alle 16.30 circa, mentre la città è distratta dalle imprese degli spagnoli al Tour de France, raggiungiamo la cattedrale. Anche se siamo stanchi ci fermiamo per una visita meritata. La chiesa è meravigliosa, maestosa con le sue guglie protese al cielo e le sue pareti che tramandano storia. Da sola varrebbe una visita, così come il curato centro storico che le sta intorno. Ci mettiamo alla ricerca dell'Albergue. La struttura dall'altra parte di Burgos (3km dalla cattedrale), immersa in un bel parco nei pressi dell'Hospital del Rey. Il posto è carino (3 Ä, doccia e volontari cordialissimi). Una ragazza che parla italiano, mi da indicazioni per mangiare, per far riparare le scarpe e per prendere un trenino, gratuito per i pellegrini, che dalle 19 alle 20.30, porta in giro tra le chiese, le porte e le mura della città, con una bella sosta al belvedere. Ci sentiamo molto turisti, anche perché abbiamo deciso che domani faremo le cose con molta calma. Ad un certo punto sentiamo gente e confusione: Burgos, in questi giorni, ospita il Festival Internazionale del Folklore e gruppi un po' da tutto il mondo stanno facendo una sfilata tra musiche e costumi tradizionali per le vie della città. Il richiamo è troppo forte: salto al volo giu dal trenino, Graziano mi segue. Lo spettacolo vale la candela e poco importa se dopo una buona cena sotto le guglie della cattedrale ci siano quei tre chilometri da rifare a piedi per tornare all'Albergue. Anche questo è il Camino ed una serata così era ciò che ci voleva per uscire dal nostro deserto.